Non sono alto di statura, questo lo dico subito. Per onestà. E' probabile che nel corso del mio racconto mi scappi qualche involontaria cattiveria, dettata certamente da un moto d'invidia, non tanto per le persone alte, il che sarebbe pure comprensibile, quanto nei confronti della vita in generale, visto che un minimo di rancore me lo porto dietro da quel giorno in cui mi accorsi che non avevo più speranze di superare il metro e sessantadue di altezza. Quindi chiedo preventivamente di perdonarmi alcune possibili cadute di gusto che io, nel mio intimo, non so giudicare tali. Ho deciso di rendere pubblico un episodio della mia vita affinché possa servire da insegnamento per tutti e non solo per chi è stato punito dalla natura a non rientrare nell'altezza standard degli esseri umani. Sono convinto che la mia vicenda è così zeppa di filosofia e di metafore da far rientrare nell'apologo tanti altri reconditi significati che riguardano uomini di ogni statura.
L'avventura cominciò durante un convegno a Urbino. Ero stato invitato a parlare dei terreni vulcanici. Avevo preparato un bell'intervento sul metasilicato di alluminio e potassio presente in molte zone del Lazio. Me ne stavo seduto al bar con i miei fogli in mano quando, girando una pagina, gettai l'occhio sulla sinistra e vidi due bellissime ginocchia femminili proprio all'altezza del mio naso. Mi alzai in piedi quasi d'istinto e il naso mi si arrestò a due palmi da un seno che premeva forsennatamente contro la camicetta bianca. Dovetti sollevare il mento per guardare in faccia quel monumento di ragazza di oltre due metri. Non credevo ai miei occhi. Dietro di lei s'era formato un semicerchio di congressisti con gli occhiali in mano talmente incantato nell'ammirare quella bellezza da non acccorgersi della comicità del quadro: io e lei vicini sembravamo l'articolo il, ma con la elle maisucola, così: iL.
Appena lei, spedito giù per il lunghissimo esofago un bicchierone d'acqua, si mosse, tutti quei professori, presi dallo spavento, scapparono come topi. Effettivamente Rossella, là dentro, sembrava la statua della Libertà. In più indossava una mnigonna stretta e corta cosicché le due gambe si potevano ammirare in tutta la loro scultorea perfezione. La scellerata, oltretutto, quasi pe dispetto o per una forma aggressiva di sfida, calzava due scarpe dai tacchi alti e sottili. E anche il suo seno, che a una ragazza di normale statura avrebbe rappresentato un pesante fardello da portarsi dietro, piazzato lassù, sotto la camicetta di Rossella, appariva perfino troppo discreto.
La vidi uscire dal bar e dopo un po' vidi scomparire anche la sua ombra. Seppi solo il giorno dopo che Rossella era entrata a bere un bicchiere d'acqua proprio per farsi notare da me. Me lo confidò lei stessa fermandomi subito fuori dalla sala dei congressi mentre sentivo che le gambe mi stavano cedendo. "Professor Acquari!", è così che mi gelò. Mi voltai, era lei. Volle fare due passi con me su per le salite dell'antica cittadina. Io, che da uomo di piccola statura conosco bene queste cose, me ne guardai bene dal portare il discorso sull'altezza fisica degli uomini. Anzi, fra tante antiche bellezze, mi sperticavo in lodi per la statura artistica e spirituale dei grandi uomini del passato. Si finì per parlare di altezza e di bassezza umana sempre riferendoci all'anima delle persone. Mi sembrava che quei discorsi liberassero Rossella da chi sa quali pesi, anche perché lei mostrava di apprezzarli più del dovuto. Rossella, d'altra parte, s'era presentata al Convegno con un intervento in merito alle tecniche di estrazione di alluminio dalla bauXite: tanto dire e fantasticare sugli artisti di Urbino le smuoveva la fantasia. E quell'aria appena sognante faceva sbocciare tra le sue meravigliose labbra sorrisi di raro candore. Insomma, rifiutandomi energicamente di ragionare, approfittando della magia dell'incontro, mi innamorai di Rossella. Qualcuno nel vederci vicini rideva, me ne accorgevo, ma mi ero intestardito con me stesso e chiudevo gli occhi. D'altra parte, pensavo, Rossella era talmente alta che tutti gli uomini le dovevano apparire bassi. Io per lei non ero tanto più basso degli altri. E poi, devo dire la verità, Rossella sembrava proprio presa da me, mi veniva dietro dovunque andassi.
Lei stava in un altro albergo, ma era sempre la prima a muoversi. Suonava il telefono della mia camera e il portiere mi annunciava che la dottoressa era là ad aspettarmi. A pranzo, a cena, la mattina, il pomeriggio, sempre assieme. Tanto è vero che i miei colleghi cominciarono a guardarmi con occhi molto diversi da prima. Non riuscivano ad accettare l'idea che quella stanga di ragazza si fosse invaghita di me. A turno ci seguivano per controllare che non fossimo finiti a letto. Non l'avrebbero mai sopportato. Soltanto chi fra loro si convinse che ormai niente più avrebbe potuto evitare il nostro appuntamento su quel letto, cominciò a riscoprirmi veramente, a diventarmi veramente amico.
E puntualmente giunse il fatidico momento dell'amore. I tempi erano maturati da soli, nel modo più sano. Ci ritrovammo nella camera di lei senza neanche accorgercene, ma appena la porta di richiuse alle nostre spalle fui investito da problemi nuovi a cui non avevo mai pensato. Diciamo da pensieri di carattere tecnico. Niente avrebbe potuto evitare che io fossi costretto continuamente e alternativamente a scegliere tra i baci e il sesso propriamente detto. Una cosa escludeva necessariamente l'altra. I primi baci vennero naturali perché, sdraiato com'eravamo sul letto, la mia bocca e la sua stavano alla stessa altezza. Anche se i miei piedi navigavano tra le sue ginocchia. Ma poi, quando la passione, come sempre fa e come è giusto che faccia, chiese di più, presi tempo per non rompere l'incantesimo con qualche errore grossolano. Così, per un tempo che a persone di statura vicina sarebbe spropositato, Rossella ed io ci perdemmo nei baci. E mentre ero lì che mi beavo tra quelle lunghe braccia succhiando nettare dalle sue labbra, notai che dalla finestra spalancata cominciò ad entrare un vento freddo e sempre più dispettoso. Volli andare a chiudere, ma lei mi fermò. Mi disse che la finestra doveva rimanere aperta perchè da un momento all'altro poteva arrivare suo marito. Non era sicura, ma poteva arrivare. Lei l'avrebbe riconosciuto dal rombo della macchina. In quel caso avrei avuto tutto il tempo per raccogliere i miei abiti e darmela a gambe levate. Fu come se mi avesse dato una bastonata in testa. Io, quasi piangendo dall'emozione, la coprivo di baci. E lei intanto se ne stava con le orecchie tese alla finestra in ascolto delle macchine che passavano. Lì per lì fui preso dalla voglia di prenderla a schiaffi e di insultarla. Tuttavia sentivo dentro di me, nella parte più nascosta, più segreta, un sapore di buono. Non capivo cosa fosse, ma ero certo che qualcosa di positivo, di bello si stava muovendo nel mio spirito. Malgrado la sgradevolezza e la violenza della situazione in cui mi trovavo, mi sentivo sempre più felice. Di colpo capii di che si trattava: all'origine di quel piccolo dramma il mio metro e sessantadue non c'entrava per niente. Per la prima volta nella mia vita mi trovavo nel cuore di un problema intimo in cui la mia statura, direttamente o indirettamente, non entrava in gioco. Insomma, in quel momento, avvinghiato a quel corpo favoloso, mi sentivo uguale ad un uomo alto due metri, magnificamente gettato dentro la più ovvia e quotidiana questione di corna. Non vedevo l'ora che arrivasse il marito per scappare come un ladro. La felicità che stavo scoprendo dentro di me mi dette la forza di inorgoglirmi e di mostrarmi offeso. Ripresi i miei abiti, dissi a Rossella di aspettare da sola suo marito e me ne andai sbattendo la porta.
Più tardi, quando rimasi solo, mi posi questa domanda: "Ma se fossi stato veramente un uomo alto due metri, me ne sarei andato così? Avrei così facilmente rinunciato a quella ghiottoneria tanto rara e forse anche a una grande storia d'amore che poteva nascere?". Amaramente dovetti ammettere a me stesso che era stata proprio la scoperta di quella segreta felicità a far rientrare dalla finestra il problema della statura che lei, la bellissima Rossella, era riuscita a far uscire dalla porta.