"Lettera d'amore", in La gente, Torino: Einaudi, 1993, pp. 26-30.
Amore mio,
sto per darti un dolore infinito, che ti struggerà da morire. Quest'addio mi spezza il cuore e mi lascia prostrato come un guerriero che ha perso la sua battaglia. Arrivano da lontano i nuvoloni a coprire d'ombra quanto abbiamo seminato e quanto speravamo un giorno di vedere fiorito e rigoglioso. Sono troppi i chilometri che separano le speranze dalla vita reale. In questa terra di nessuno, pigramente, tristemente, finiscono le cose non successe, gli appuntamenti perduti, le buone azioni mai portate a compimento. Quel che resta drammaticamente vivo nella mente sono i ricordi dei ricordi e, dopo tutto questo tempo, posso dire soltanto che quei ricordi non erano altro che speranze. Cioè pensieri vuoti, morti a un passo da dove sono nati, rimasti imbrigliati nella fitta rete dei giorni che si susseguono, veloci e lentissimi, brucianti ed eterni. Non posso più amarti. E tu non mi devi più amare. Riprendi la vita là dove l'hai lasciata e prova nuove strade, perditi con fiducia in quello che hai perché io non posso darti di più. Non posso darti più nulla.
Ho cinquant'anni, tu ne hai sempre venti, da sempre. Somigli a una piccola rosa fuori stagione con i tuoi capelli chiari, arricciati, profumata ancora di saponetta. Ho sulla pelle il tuo profumo, mescolato a quello dell'erba fresca e al sapore candido della tua saliva, alle ruvide trame delle tue camicette, ai tremori impavidi dei tuoi baci. Quante volte -- non sempre te ne sei accorta -- col viso nascosto tra i tuoi capelli, sulle tue spalle che sapevano di ferro da stiro, ho asciugato qualche lacrima. Mi faceva paura il futuro, il nostro futuro, che mi appariva come un drago. L'avrei vinto quel drago se a rischiare la vita fossi stato soltanto io. Ma l'idea di salvare te mi faceva tremare. No, è arrivato il momento di restituire a te la libertà di non avermi mai incontrato e a me il silenzio di quando ancora non ti conoscevo, in un lungo, infinito spazio senza memoria, avvolto nel buio, dove forse aspettano quelli che ancora devono nascere e dove vanno a finire quelli che muoiono.
Lo sai che sono sposato. E sposato con una donna che amo perdutamente da venticinque anni. La amo fino al punto che spesso ho la ferma impressione che al mondo non esiste che lei, che non esisto nemmeno io. La vedo e specchio in lei la parte di me che mi piace non dimenticare mai, la parte di me che forse non è mai esistita, ma che immagino viva e operante. E questo regalo me lo fa lei, perché quando mi guarda, quando mi parla, sembra che si rivolga a un uomo degno delle più grandi lodi di questo mondo. E io allora ho voglia di baciarla, di sciogliermi in lei.
Oggi ha più di quarant'anni, ma una volta ti somigliava. Tuttavia come possono competere la bellezza d'un tempo con la bellezza di tanto tempo. Un tempo che è tutta la mia vita. E ancora oggi, quando la stringo forte e mi perdo nei suoi baci, nel suo corpo caldo, mi batte il cuore.
All'epoca le mettevo tanta soggezione e allora mi scriveva spesso, e in versi. Lo stesso tenero impaccio che leggo nei tuoi occhi quando ci incontriamo. Vederti abbassare lo sguardo quando ti accarezzo mi trafigge il petto, mi dissangua. Mi vien voglia di berti, come un boccale d'acqua fresca nel cicaleccio dell'estate. Ma ho cinquant'anni e sono innamorato di mia moglie.
Non sarà facile dimenticarti e forse non ci proverò neanche. Però non potremo mai più incontrarci. Io sono arrivato agli ultimi anni di corso, ho imparato una matematica che tu non puoi ancora decifrare. Nulla rimane mai uguale a se stesso. Ciò che per te è un miracolo, per me è una fatalità. Ciò che per te è una scoperta per me è una conferma. Così eccomi nella vita senza miracoli e senza scoperte. La fatalità e le conferme che mia moglie ogni giorno mi offre è la meravigliosa matematica che tu devi scoprire.
Mia struggente immagine del passato, ti scrivo questa lettera di addio mentre mi riempio un bicchiere di vino. La finestra è aperta su una notte piena di stelle. E quante ne ho viste di queste mute, lontanissime stelle quando con te, chiusi nella tua piccola utilitaria, ci addentravamo nel complicato intreccio di baci e lacrime. Erano stelle che mandavano il profumo dei concimi naturali, il canto delle rane nelle marrane, dei grilli sperduti nei campi bui. Ancora mi tremano le dita nel ricordo di quando ti posavo una mano sul ginocchio e la lasciavo scivolare verso le tue mutandine di bambina. Sento il canto degli alberi che il vento notturno scuoteva, obbedendo a una legge vuota, ottusa, indifferente. E quell'indifferenza i nostri sogni la scambiavano per amicizia complice e benevola. Lei è entrata così nella mia vita, con quegli odori e con quei sapori, venticinque anni fa, complice la clandestinità dei boschetti e dei prati.
Tu hai vent'anni, da sempre e per sempre. Sono innamorato del tuo volto araldico, nobilissimo, della bocca sottile, del tuo collo bianco, degli occhi che guardano lontano, disperatamente. M'è rimasto addosso quel tuo sentore di casa povera ma pulita. Quei capelli morbidi, avvampati dal sole e capricciosi, quanto li ho amati! Ma adesso è giunto il momento di dimenticarti, perché mi sembra di farti del male, perché la nostra situazione non regge più a nessuna malìa. Sento che stai diventando un peso.
Di là c'è lei che dorme. Si è accorta della mia insonnia e forse anche dei miei turbamenti. Deve aver intuito qualcosa se, per la prima volta nella nostra vita in comune, ha deciso di lasciarmi completamente solo a risolvere questo problema. Tu sei troppo lontana e vai sbiadendo sempre di più nei miei ricordi. Non mi puoi aiutare. E io non posso fare altro che recidere di netto questo legame sterile, adolescenziale, crudele.
Non voglio neanche immaginare come la prenderai. Sparisci, non ti voglio più vedere. Ma soprattutto non devo sapere dove ti porterà il destino. Addio, il cielo si sta schiarendo, qualche negozio tira su le serrande.
Mi rimane un'oretta di sonno. Di là l'unica donna della mia vita mi aspetta.