Roberto Vacca
L'UMANISTA E LE NUOVE TECNOLOGIE
Questa è la trascrizione della conferenza svolta da Roberto Vacca presso la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna nel giugno 2001. La conferenza concludeva il corso di Teorie e tecniche della comunicazione dell'anno accademico 2000-2001 tenuto da Domenico Fiormonte. La trascrizione è a cura di Francesca Romiti, Maura Beretta (allieve del corso) e Domenico Fiormonte. Ringraziamo di cuore Roberto Vacca per l'aiuto nella revisione del testo e per aver autorizzato la pubblicazione online.
Vacca: Che cos'è un umanista? E' uno che non è triste, che non crede in Dio ma nei valori dell'uomo (qualsiasi cosa questo possa significare).
Ora, quando si parla di Humanities, di studi umanistici e così via, si torna sempre al discorso delle due culture e qui vorrei leggervi alcune righe dell'introduzione di Primo Levi al suo libro L'altrui mestiere [Torino, Einaudi, 1995]:
"Sovente ho messo piede sui ponti che uniscono (o dovrebbero unire) la cultura scientifica con quella letteraria, scavalcando un crepaccio che mi è sempre sembrato assurdo. C'è chi si torce le mani e lo definisce un abisso, ma non fa nulla per colmarlo; c'è anche chi si adopera per allargarlo, quasi che lo scienziato e il letterato appartenessero a due sottospecie umane diverse, reciprocamente alloglotte, destinate a ignorarsi e non interfeconde. E' una schisi innaturale, non necessaria, nociva, frutto di lontani tabù e della Controriforma, quando non risalga addirittura ad una interpretazione meschina del divieto biblico di mangiare un certo frutto. Non la conoscevano Empedocle, Dante, Leonardo, Galileo, Cartesio, Goethe, Einstein, né gli anonimi costruttori delle cattedrali gotiche, nè Michelangelo; nè la conoscono i buoni artigiani d'oggi, né i fisici esitanti sull'orlo dell'inconoscibile. [....] fra le due culture non c'è incompatibilità: c'è invece, a volte, quando esiste la volontà buona, un mutuo trascinamento".
Questo è quello che vorremmo succedesse, ma non succede molto, e allora un umanista chi dovrebbe essere? Dovrebbe essere qualcuno che si occupa di uomini, donne, di esseri umani.... Ricordo la frase del Heautontimorumenos [Il punitore di sè stesso, Milano, BUR, 2000] di Terenzio : "Homo sum: humani nihil a me alienum puto". Mio padre mi ha tirato su nella fede che tutto interessa, il che è vero fino ad un certo punto perché, dato che siamo sottoposti alla tirannia dello spazio e del tempo, non abbiamo tempo di guardare tutto, di imparare tutto - e poi accade che alcuni a parole si dichiarano d'accordo e, invece, subito dopo fanno in modo che nessuno impari niente, che è molto peggio. Dato che di livelli ce ne sono tanti, la cosa importante per ciascuno di noi, per gli umanisti e per i non umanisti, è di migliorare almeno un po' il nostro livello.
Mimmo [Domenico Fiormonte, n.d.r.] non ha detto che faccio l'ingegnere...
Fiormonte: ...volutamente...
Vacca: ...comunque faccio l'ingegnere da cinquant'anni e, nonostante mi renda conto della tirannia dello spazio e del tempo, ho cercato di occuparmi di parecchie cose. Da qualche anno faccio un po' anche il guru e ho un insegnamento solo, chi di voi non l'ha ancora sentito, se lo segni subito perché cambia la vita. L'insegnamento è questo: ogni giorno che passa devi imparare almeno una cosa nuova, o magari due, tre, quattro, dieci. Se lo fai ti cambia la vita e se lo facciamo tutti cambiamo il mondo. Non lo stiamo facendo tutti, di questo ve ne sarete già accorti, forse...
Domanda : Parla di imparare l'arte d'imparare?
Vacca: Certo. Se uno prima non impara ad imparare, una cosa al giorno non la impara mica. Questo discorso può suonare tautologico. Se dico imparate una cosa al giorno, dovete imparare ad imparare se no state a terra. Comunque provateci e vedrete che ci si riesce. Come dicevo, è impossibile interessarsi di tutto, però di parecchie cose si. Di più cose ci interessiamo meglio funzioniamo. In Russia si dice "c'è chi ama il pope, chi ama la moglie del pope". Perciò ognuno di noi ha i suoi gusti, possiamo scegliere da che parte stare.
Un'altra definizione dell'umanista potrebbe essere la persona che si occupa di memi. Il concetto di meme è familiare a tutti? No? Il meme l'ha inventato un biologo evoluzionista britannico che si chiama Richard Dawkins che ha scritto un libro molto bello, L'orologiaio cieco [Milano, Rizzoli, 1988], in cui spiega la teoria dell'evoluzione darwiniana con molta chiarezza: è il più bel libro sull'argomento che esista. Lui sostiene che le cose importanti per gli esseri umani non sono tanto i geni, il che è dimostrabile matematicamente, è chiaro che il nostro cervello dipende dalla genetica, dai geni che il nostro papà e la nostra mamma ci hanno messo dentro. Però se calcoliamo i gradi di libertà delle connessioni sinaptiche del cervello, che concentra miliardi di neuroni e un numero enorme di connessioni fra neuroni, il grado di libertà si valuta di alcuni milioni di volte superiore alla complessità del nostro genoma, perciò essenzialmente noi siamo tutta esperienza. Certo siamo anche genetica, ma è una parte abbastanza piccola. Dunque: Dawkins ha introdotto il concetto di meme in analogia al concetto di gene. Il gene è un elemento biologico, un tratto di DNA, il quale dice che cosa ereditiamo, che caratteristiche ereditiamo. Il meme è la stessa cosa, ma mentale. Perciò un meme è un concetto, una frase, un'idea, una teoria, una musica, un'espressione verbale, eventualmente anche un'espressione non verbale che possa essere assorbita e riprodotta. E sostiene Dawkins che i memi competono gli uni con gli altri, come i geni competono gli uni con gli altri per fare in modo che le nostre discendenze siano simili a noi. Un altro libro di Dawkins, intitolato Il gene egoista [Milano, Oscar Mondadori, 1995], sostiene che non siamo noi a fare i bambini, ma sono i geni che vogliono venire fuori, non gliene frega niente del perché e del per come noi ci comportiamo, che progetti abbiamo per l'avvenire, loro vogliono venir fuori e sono loro che cercano di farsi riprodurre. C'è una battuta che dice "Sapete cos'è una gallina? La gallina è un pretesto con il quale un uovo riesce a produrre un altro uovo". Perciò se vediamo questo tipo di concetto dal punto di vista dei memi, che combattono fra loro per entrare nella nostra testa e per far generare altri memi simili a sé, e per farsi spazio negli scaffali delle biblioteche, allora si, un umanista è colui che si occupa dei memi (non a caso gli animali di memi ne producono pochi, che qualcosa faranno, ma sono poco interessanti: in generale gli animali sono interessanti come oggetto di studio, non tanto come insegnanti). Allora se ci occupiamo di memi, vuol dire che ci dobbiamo occupare della civiltà perché può essere umanista qualcuno che non si occupa della storia delle idee? Si occuperebbe soltanto di flatus vocis, di parole e suoni sconnessi. E qui occorre fare dichiarazioni di scelta. C'è della gente che butta fuori delle cose che sembrano memi e invece sono vuote, non ci sono. Non vi dimenticate che io sono un metalmeccanico essenzialmente, perciò se dirò qualche enormità, non vi scandalizzate, sono pareri miei, mica li voglio imporre a nessuno. Per esempio i dadaisti, Ionesco e altra gente simile, li considero del tutto irrilevanti. Reggetevi forte, anche quel francese lì, come si chiama... Proust, io lo prenderei tutto e lo butterei via ...
Fiormonte: Ah! Che bestemmia questa...
Vacca: Bestemmierò, ma lui ha fatto un libro, chi l'ha letto alzi la mano. Uno, due, tre, quattro, cinque. Molti altri no, beh! Per quelli che non l'hanno letto, io ho cominciato a leggere un libro in cui c'è uno che sta su una collina e vede una casa sotto e c'è della gente che entra e lui non sa chi sono, chissà chi saranno, chissà che penseranno, a pagina 70 ancora non ne sa nulla, non ha avuto nessun pensiero interessante sull'argomento... e che s'impicchi, allora. Negli annunci dei giornali, quando si vende una casa, spesso si trova la locuzione "perditempo astenersi" beh! Mi sembra il caso di Proust, sembra che avesse proprio del tempo da perdere. Guardate invece Tolstoj, che riesce a descrivere quello che ha in testa la gente. Guardate un sociologo come Pareto che nel suo Trattato di sociologia generale [Torino, UTET, 1988] illustra la genesi matematica dei pareri, di come la gente si forma le opinioni, e poi lo scrive con un bello, lunghissimo testo in cui se la prende per esempio, e giustamente, con le teorie hegeliane, con toni estremamente violenti. Perciò direi che su quali sono i memi di cui occuparsi e quali no, io propongo una mia versione, ma ognuno può dire la sua.
Un criterio fondamentale di scelta è quello del contatto con la realtà. La realtà vince sempre, e quando qualcuno fa finta che sia diversa, sbatte la faccia contro il muro e questo è vero un po' in tutti i campi. E' vero ad esempio quando uno fa il manager, io ho fatto il manager industriale, e un manager che fa finta che la realtà sia diversa, che si illude che tutti gli oggetti che ha in magazzino potrà venderli per 100 miliardi, dopodiché nessuno li compra neanche per 1 miliardo, beh... si rovina, è staccato dalla realtà. Ci insegnano a stare in contatto con la realtà anche gli psicologi. Se ci facciamo l'idea che le persone con cui trattiamo siano diverse da quel che sono, oppure speriamo che cambino e diventino come vogliamo noi, non si risolve mai niente, state bene attenti. Perciò chi si stacca dalla realtà va a finire male.
Ovviamente tra chi è più attaccato alla realtà ci sono gli scienziati. Uno dei fisici del secolo scorso ha detto che lo scopo fondamentale della fisica matematica è quello di prevedere il risultato di certi esperimenti prima che gli esperimenti vengano fatti. E i fisici lo sanno fare abbastanza bene e in molti casi lo sanno fare con una precisione di una parte di un miliardo, o anche di una parte su cento miliardi, oltre non ci vanno, perciò quando sentite qualcuno dire che gli scienziati mirano ad una precisione assoluta è una balla, tutte le teorie scientifiche sono delle rozze approssimazioni della realtà. Anche se la precisione di una parte su un miliardo non è tanto rozza, è ben lontana dalla precisione infinita che è impensabile, non sappiamo neanche cosa vuol dire.
Domanda: Per contatto con la realtà intende esigenza di realismo o di obiettività?
Vacca: Beh! vede, ovviamente di tutte le cose che abbiamo intorno ne conosciamo alcune, sempre in modo abbastanza rozzo, alcune le conosciamo meglio e le possiamo addirittura misurare. Quando io parlo di contatto con la realtà parlo sempre delle cose che possiamo calcolare e misurare. Se riusciamo a prevedere numericamente una misura che ancora non è stata fatta perché l'esperimento ancora non si è verificato, quello è un aspetto della realtà. Ma ovviamente in molti altri casi la realtà si misura male, si misura per es. con i soldi e, sebbene i contabili facciano dei conti molto precisi, cosa significano quei soldi già diventa molto meno chiaro.
Domanda: Quindi è soltanto una questione di parametri?
Vacca:: No, non solo, è che i soldi sono un brutto strumento perché i soldi di oggi non sono gli stessi di dieci anni fa e non sono gli stessi che ci saranno tra dieci anni. E poi spesso i contabili sono molto bravi a fare apparire come reali delle cose che non lo sono affatto, perciò spesso i libri contabili sono delle opere di poesia, di mitologia...
Comunque, qualunque sia l'argomento di cui ci interessiamo, è importante cercare di prevedere i comportamenti delle persone - cosa faranno, cosa diranno. Qui occorre essere modesti, lo sappiamo bene, perché tutte le teorie più avanzate sono estremamente imprecise. Si comincia a capire sempre di più, però si capiscono sempre cose molto rozze, tanto rozze che pochi sono gli psicologi che seriamente dicono che sanno prevedere cosa farà una certa persona. Se poi ne prendiamo tante insieme (una folla, una popolazione urbana o di una intera nazione), le previsioni sono ancora più difficili.
Perciò essere in contatto con la realtà significa fare che cosa? Significa elaborare dati sensoriali, elaborare impressioni che, qualche volta, se siamo bravi, se abbiamo imparato, possiamo mettere in forma verbale, tradurre in discorsi. Spesso in questo campo alcuni buoni romanzieri sono molto più bravi degli psicologi perché cercano di entrare nella testa della gente e tu leggi e puoi capire come funziona questo essere umano inventato perciò in questo modo qui impariamo, impariamo già parecchio. Ora, va beh... non è proprio quello di cui dovevo parlare.
Dovevamo parlare delle nuove tecnologie in aiuto agli umanisti. Spesso gli umanisti non hanno la minima idea di quello che fa una parte importante della popolazione e cioè quelli che inventano cose nuove, gli scienziati. Non hanno la minima idea di cosa siano la fisica, la chimica né la matematica. Quando questo è vero, dobbiamo dire che molti umanisti sono inadeguati. Per riuscire a capire che cosa fanno gli esseri umani, i più interessanti sono senza dubbio quelli che fanno le cose più complesse. Una cosa semplice, ad esempio, il lavoro di uno zappaterra, che fa sempre la stessa cosa, e alla fine ha fatto un po' di buchi, è facile da capirsi. Ma siamo interessati a sapere cosa pensa uno zappaterra? Vedere cosa ha in testa uno che inventa una cosa nuova è molto più difficile. E, vedete, qui manca addirittura la disciplina, anche se ne parliamo in scienza, in psicologia, in scienze umane... grosso modo in psicologia qualcosa abbiamo capito, alcuni l'hanno capita, alcuni la raccontano meglio, altri peggio, altri raccontano delle balle tremende che non vogliamo neanche sentire.
Una disciplina nuova e interessante, io la chiamerei Iperpsicologia, termine che ho ripreso dall'ultimo capitolo del mio libretto Anche tu fisico [disponibile su www.printandread.com ] sarebbe la scienza che spiega da dove vengono quelli che inventano cose nuove. Che hanno in testa? come fanno? che gli succede? perché loro si ed altri no? qual è la loro storia, la loro formazione? Non lo sa nessuno. Uno che ci provò a raccontare come andavano le cose, fu il famoso matematico Poincare, che cercò di spiegare cosa gli succedeva quando inventava una teoria matematica nuova e disse solo quattro banalità ("tante volte ho un problema serio in testa, e poi vado a letto e la mattina quando mi sveglio l'ho già risolto") e gli altri scienziati stanno più o meno allo stesso livello. Parlavo prima di Dennis Gabor, il matematico ungherese premio Nobel che ha scoperto l'olografia, e sapete come l'ha scoperta? Con un pezzo di carta ed un lapis. Ma un uomo così da dove esce? Non ne abbiamo idea. Perciò io suggerisco a quelli di voi che faranno figli e si dedicheranno alla loro educazione, per l'ipotesi che esca uno scienziato famoso, cominciate a segnarvi tutto quello che fanno, da quando hanno un giorno, un mese, un anno, cosa fanno, che esperienze hanno, cosa gli succede, forse riusciremmo a capire come vanno queste cose. Ora, se parliamo di nuove tecnologie, c'è ancora una questione, e cioè che non possiamo parlare di nuove tecnologie se non parliamo di vecchie, perché le vecchie tecnologie, alcune delle quali stanno scomparendo, non è che gli umanisti le conoscano tanto bene.
C'è un altro libro di Primo Levi che si intitola Il sistema periodico [Torino, Einaudi, 1988], che parla della conoscenza e della familiarità con la materia. Parla di quando era ragazzo, perciò degli anni venti a Torino, ed era invidioso delle femmine che almeno imparavano a cucinare, e si rendevano conto che con il calore succedevano delle cose a certi oggetti che mettevano nelle pentole, lavavano, smacchiavano, avevano l'idea che certe sostanze avevano degli effetti oppure certi altri, cominciavano a conoscere la materia. I maschi invece non facevano niente, non sapevano niente, che cosa si rompe, che cosa non si rompe, che cosa succede quando si tratta la materia. Perciò sono cose da sapere anche quelle perché, di nuovo, la materia in sè è interessante se la studiamo con la chimica e la fisica per sapere come è fatta, però i rapporti degli esseri umani con la materia sono ovviamente molto più importanti.
Per tanti millenni, l'attività principale degli essere umani è stata quella di trattare oggetti materiali, la maggioranza della popolazione, specialmente prima dell'invenzione della scrittura, lavorava la terra, cominciava a forgiare i metalli, comunque lavoravano sempre con oggetti di pietra, legno, acqua . Qualche volta io mi domando , di nuovo per la mia Iperpsicologia, chi erano quelli che hanno capito che c'erano i pianeti. Uno si deve essere messo a guardare il cielo per cinquant'anni e poi chissà come ha visto che alcune stelle camminavano in modo diverso dalle altre...Io penso che probabilmente erano degli schiavisti orrendi, che facevano lavorare gli altri, e la sera erano abbastanza tranquilli, potevano stare svegli, invece di dormire per terra, e guardare su nel cielo, visto che non avevano niente da fare, e così cominciarono a capire un po' di cose. I rapporti con la materia sono importanti perché gli esseri umani hanno rapporti con la materia, ci hanno lavorato, ci hanno fatto tante altre cose. In seguito sono venuti fuori i memi, ma in parte c'erano anche prima: Omero, il cieco, che cantava la storia di Troia, che fu trascritta dopo, trasmetteva memi di bocca in bocca.
E ora è sicuramente importante l'uso della tecnologia come strumento per governare processi, per fare esperimenti, per arrivare ad avere un insight, una comprensione profonda di quello che sta succedendo, capire la materia, capire l'energia. Avrete letto chissà quante volte che questa è l'era del cambiamento, che sta cambiando tutto. Chi è nato nel secolo scorso ha visto venire i treni, le automobili, gli aeroplani, poi il telegrafo, il telefono, la radio, la televisione, poi gli aeroplani a reazione, i reattori nucleari ecc. Adesso sta cambiando molto di più. Perché? Perché, in buona parte di tutti questi oggetti tecnologici l'importante è il risultato finale, e non è tanto strano che gli umanisti non ne abbiano molta familiarità. Quando uno guida la macchina, o prende il treno, l'importante è sapere che lo portano da un punto A ad un punto B e in certi tempi. Sapere come funziona è una curiosità personale, eventualmente. Ai tempi antichi, quando ci riparavamo l'automobile da soli, sapere come funzionava era interessante, perché se si rompeva la riparavamo. Adesso questo è vero sempre meno. Vent'anni fa mi successe che mi si ruppe il filo del gas, premevo l'acceleratore e non succedeva niente. Allora ho aperto il cofano e annodai alla levetta del carburatore un filo elettrico. Io lo tiravo da fuori e guidavo la macchina tirando 'sto filo, e funzionava. Se mi succedesse oggi non potrei più fare così, perché non c'è più il carburatore, c'è un computerino che è sensibile alla posizione del pedale, fa da tramite - e se si stara non c'è nessun modo semplice per rimetterlo a posto.
C'è un racconto abbastanza bello di alcuni esploratori, antropologi nordamericani, che si trovano sperduti in una tribù amazzonica. A un certo punto la loro barca si rompe; hanno una radio e hanno chiesto aiuto, qualcuno verrà a prenderli tra tre settimane, prima non c'è possibilità. E allora pensano di impressionare gli indigeni che considerano dei sempliciotti, fanno loro vedere quello che hanno: un accendino, fiammiferi, la radio, l'orologio e questi indios amazzonici stanno a guardare. Non riuscendo a scambiare nemmeno una parola alla fine gli indios li portano nella foresta e fanno vedere loro come prendono un certo ramo, lo tagliano, lo trattano opportunamente, ci mettono delle corde, ci fanno un arco, ci fanno delle frecce e poi acchiappano un animale. Poi indicano l'orologio e chiedono agli esploratori di rifarlo, ma questi non lo sanno fare, né sanno fare una radio, né sanno fare un accendino, né sanno fare dei fiammiferi. E gli indigeni cominciano a trattarli come delle bestie, perché hanno degli oggetti ma non li sanno rifare.
Ora questa è una situazione verso la quale andiamo sempre di più, la modularità, il fatto che è più economico prendere un modulo, levarlo e mettercene un altro, piuttosto che aggiustarlo. E' una situazione ormai accettata, funzionano le cose molto meglio così di prima. Quando io riparavo i computer, in un computer c'erano circa dieci mila valvole elettroniche e quando una si esauriva, bisognava individuarla fra migliaia di altre e sostituirla. Adesso non è più così, sapere esattamente cosa c'è nel mio computer sul tavolo, che fa cinquecentomilioni di operazioni al secondo, mentre quello che riparavo io ne faceva mille soltanto, non è così facile. Le cose sono cambiate molto e dobbiamo convivere con tutto questo e cercare di capirle perché se accettiamo che non possiamo sapere tutto e ci arrendiamo subito, non impariamo mai niente. E invece certi strumenti sono utili ed è interessante sapere come gli esseri umani li utilizzano, però dobbiamo conoscere prima di tutto gli strumenti per riuscire a capire come li utilizziamo, come li adoperavamo, in che direzione stiamo andando... siamo tutti profeti, non per scelta ma per necessità, cerchiamo di capire come vanno le cose, dove stiamo andando.
Perciò capire la tecnologia da una parte è interessante in sé, dall'altra è essenziale per capire i rapporti tra la tecnologia e gli esseri umani. E qui parlarne significa comunicare.
Ed allora dobbiamo parlare della teoria della comunicazione. E' morto Claude Shannon due mesi fa, in Italia credo di essere stato il solo a parlarne. Shannon ha inventato l'applicazione della logica matematica ai circuiti elettrici, ed è quello che ha inventato la teoria matematica della comunicazione. Era un uomo strano, girava per il suo ufficio e tra i vari laboratori su un monociclo e faceva anche il giocoliere. I suoi studi sono molto interessanti e importanti, ma sono poco noti, la gente non se ne occupa granché. L'importante, io credo, sono i contenuti. Se qualcuno di voi ha a casa qualche libro di McLuhan lo prenda e lo butti subito, fa proprio schifo. "The medium is the message" [La cultura come business: il mezzo è il messaggio, Roma, Armando, 1998]- che fregnaccia! - capite bene che io posso scrivere una stupidaggine, scolpendola da qualche parte, o scrivendola con bei caratteri rondò o a macchina o sul computer, ma rimane una stupidaggine, se sono parole senza senso, rimangono parole senza senso. Possiamo ristampare i libri di Hegel con tutte le tecniche migliori, rimangono sempre parole senza senso. Hegel era un bestia. C'è stata una signora, di cui mi sfugge il nome, che qualche anno fa scrisse un libro con il titolo "Sputare su Hegel", che io non ho mai visto. Se qualcuno di voi ha un riferimento bibliografico e me lo fa trovare lo vorrei leggere.
In questo campo, della comunicazione, ci sono tante leggende. Ad esempio quello della rivoluzione di Gutenberg. Non c'è mai stata. Prima di Gutenberg non leggeva nessuno, dopo Gutenberg siamo arrivati ai best seller, 2 milioni di copie, cioè il 4% della popolazione italiana, che è un po' pochino. E poi la gente che compra i libri, poi li legge? Quelli che leggono sono molti di meno, perciò la stampa è servita poco a far leggere la gente. Adesso le cose stanno cambiando davvero, perciò quando parliamo di nuova tecnologia non stiamo parlando di tecnologia tradizionale che era fatta di standalone, cioè apparecchi che stanno e funzionano da soli. Di questi ce ne sono sempre meno, sono sempre meno usati, e ci rendiamo conto sempre più che la struttura più importante, più efficace, che produce più ricchezza è la rete e intendo non solo il World Wide Web, ma qualsiasi rete di linee di comunicazione, per esempio di navigazione o stradale. Gli antichi romani realizzarono una rete stradale di 80 mila Km in Europa.
Fiormonte: incidentalmente, questo concetto lo ha studiato il maestro di McLuhan, Harold Innis, così tanto per...
Vacca: ...Harold chi? 'Sto maestro di McLuhan non so chi fosse, se poi ha insegnato a McLuhan non doveva essere un granché o non sapeva insegnare.
Fiormonte: McLuhan dice che è stato il suo maestro, è un economista.
Vacca: ...lasciamo perdere. Non siano messi a verbale questi interventi estemporanei. Dicevo delle reti di strade, delle reti elettriche che servono ad avere energia dovunque venga prodotta e dovunque venga usata, e adesso c'è questa rete WWW che è importante perché ci dà innanzitutto comunicazione istantanea, con chiunque e a costo zero, ma la ragione che io penso porterà ad un impatto notevole è la sua interattività, di cui ho fatto in prima persona esperienza diretta ed indiretta. Ho provato a fare una domanda ad una persona, senza conoscerla , che ha pensato, scritto e fatto cose notevoli, gli ho spedito una domanda e questo mi ha risposto in 24 ore. E a chi scrive a me io rispondo sempre entro 48 ore al massimo. C'è questa enorme facilità, che riduce talmente il costo che la comunicazione tra esseri umani, che devono dirsi cose interessanti è molto facilitata e poi c'è uno stuolo enorme di benefattori e benefattrici che non conosciamo, e che hanno lavorato gratis per mettere in rete delle cose interessanti, per esempio libri di testo. Il MIT, il Massachusets Institute of Technology sta cominciando a mettere adesso in rete tutti i suoi libri di testo, una ricchezza gigantesca di conoscenza...
Perciò dicevo questa è una grande ricchezza. Naturalmente come tutti gli strumenti la rete può essere usata bene in pochi modi, male in tanti. Non so se qualcuno di voi ha fatto parte di BBS, gruppi di discussione, provateci ma usateli con molta prudenza. Io mi sono iscritto a molti, ma mi sono cancellato perché spesso i loro componenti si sbrodolano addosso, quello che possono dire in quattro righe lo dicono in quaranta, in quattrocento, e tu sei costretto a cestinare centinaia di e-mail inutili, di solito il 98% del totale, e quindi a quel punto è meglio se ti cancelli. In questo campo occorre anche stare attenti perché spesso le credenziali accademiche non sono tutto, ci sono persone con credenziali accademiche ottime, perfette, credibili, e poi sparano di quelle cose orrende...
Dentro il MIT c'è una scuola di management, si chiama "Sloane School of Management" al cui interno vi è un gruppo che si chiama System Dynamics Research , ricerca sulla dinamica dei sistemi, che è stata inventata da un professore americano, Jay W. Forrester, che ha inventato anche le memorie a nuclei magnetici circa trentacinque anni fa, e che cerca di modellizzare il mondo, in particolare le aziende, le città, i paesi, i processi industriali, l'economia mondiale con una similitudine idraulica, con livelli e con flussi che uniscono più livelli. Forse qualcuno di voi ricorderà uno studio del 1971 che si chiamava I limiti dello sviluppo [Milano, Mondadori, 1983, 8° ediz.] in cui cercavano di modellizzare tutto il mondo, l'economia mondiale, cioè popolazione, industria, agricoltura, ambiente, qualità della vita ecc. con previsioni molto interessanti ma molto controverse - e del tutto sbagliate. E' una tecnica che nonostante alcuni aspetti interessanti va guardata con molta circospezione perché non c'è una base razionale di concezione, perché i meccanismi di processi complessi non sono spiegabili con semplici formule empiriche. Ci si può girare intorno con tanta matematica e con computer che macinano dati, ma non si tira fuori niente di molto interessante. E alcuni di questi sono arrivati addirittura a sfociare nel misticismo, per esempio usano delle variabili che non misurano, ma stimano, e che nessuno può misurare, come ad esempio la svogliatezza di un lavoratore: se misuri quanto produce, hai un dato significativo, se lavora male, misuri quanto è svogliato? E come fai? Perciò bisogna stare molto attenti a questi, ma bisogna stare molto attenti anche a cose ben peggiori: c'è gente che ha imparato ad usare il linguaggio in modo tale che scrive delle frasi che sembrano profonde, sembrano avere un significato, e non ce l'hanno.
La conclusione è che le nuove tecnologie sono utilissime. Io da dieci anni lavoro con un gruppo di analisti, di ingegneri, statistici, informatici e non li vedo mai , ognuno sta a casa sua e ci scambiamo messaggi tramite la rete e il nostro lavoro è efficientissimo, il nostro rendimento, la nostra produttività è aumentata del 70%. Sono tutti contenti. Perciò gli strumenti sono utili per riuscire ad avere altre informazioni, per riuscire a conoscere il mondo. Lo sappiamo bene, Bertrand Russell ci insegna che la conoscenza è data dall'esperienza e dalle descrizioni. La maggior parte delle cose che sappiamo le conosciamo per descrizione. Perciò questa fonte che ci dà descrizioni di tutto ci permette di andare molto avanti, soltanto che naturalmente in mezzo a tutte queste descrizioni ci sono quelle sbagliate, parlavo ad esempio di McLuhan, di Hegel...
Detto questo, è chiaro che la nuova tecnologia è ottima, ma quello che ci vuole è un criterio di giudizio per distinguere quello che serve da quello che non serve, quello che ha senso da quello che non ha senso, ecc. Sul criterio non c'è da dire quasi altro perché ricette semplici per pensare giusto non ce ne sono. C'è l'epistemologia ma è abbastanza astratta, e ad un certo punto se uno ha una cultura decente, ha parlato con persone di livello elevato, ha letto i libri giusti, e così via, sente ormai l'odore di chi le spara grosse, di dice cose sbagliate o senza senso. Comunque una procedura non c'è, bisogna frequentare le persone giuste.
Le attività umanistiche servono anche a far succedere le cose, scrivere testi serve a far succedere delle cose piuttosto che certe altre e anche qui sta cambiando un po' tutto e l'arte di comunicare sembra che rimanga la stessa ma non è cosi. Scrivere si, rimane più o meno la stessa cosa, se uno scrive dei testi le regole sono sempre un po' quelle. Ad esempio ho introdotto in Italia l'indice di leggibilità di Flesch (da 0 a 100): frasi corte, parole corte si leggono meglio di frasi lunghe, parole lunghe. Questo è il concetto fondamentale, se uno scrive così è più comprensibile, ma può essere più comprensibile e dire niente perciò questo indice è un aiuto, ma aiuta abbastanza poco. La cosa più importante è che stanno cambiando tutte le attività possibili, chi fa l'avvocato, chi fa il contabile, il medico, il pubblicitario, qualunque attività che andiamo a considerare sta cambiando. Cambiano gli strumenti e tutte le attività in cui parliamo di memi, idee, concetti, di parole sono quelle che cambiano di più.
Vi leggo un testo: "mucchi contorti di orrori che ci afferrano, straziando le nostra interiora in modo malato, fibrillando i nostri intimi nuclei di una frenesia di indicibile ira" questa è la composizione di un poeta di nome Mulliner, che è il personaggio di un romanzo di P. J. Woodhouse. Questo poeta non aveva mai una lira, e lo zio che fabbricava marmellata, la marmellata Mulliner, gli chiede di lavorare da lui. Lui accetta e si offre di scrivergli la pubblicità, ma quando gli dà questa poesia, che cerca di descrivere lo stato d'animo di chi ancora non ha assaggiato le sue marmellate, lo zio lo prende a calci, lo butta fuori, perché non è questo il modo giusto per fare pubblicità alle marmellate.
Qual è il modo giusto per fare la pubblicità? Quello che stiamo capendo adesso, che io sto capendo adesso. Io scrivo libri, ne ho scritti più di 30, e non li do più agli editori che non sanno vendere, hanno tonnellate di carta che è sempre immagazzinata nei posti sbagliati, non riescono a far pubblicità e a venderle. Perciò adesso ho creato il mio sito www.printandread.com e vendo i miei libri direttamente on line: uno ordina il libro e gli arriva a casa in formato .pdf, se lo stampa in pochi minuti e se lo legge. Ma il punto qual' è? Come si fa a fare pubblicità? Voi sapete che in Italia parecchie migliaia di miliardi sono spese all'anno per fare pubblicità, ed il rendimento qual è? Il rendimento è di pochi punti percentuali. Uno dei modi più efficienti è quello di fare direct mailing, cioè io seleziono la gente che abita in una certa parte della città,che ha una certa età, una certa professione, certi soldi, cioè quella adatta a comprare il tipo di automobile che vendo io, e scrivo solo a loro, e se faccio questa lettera molto ben fatta, magari prendo un umanista per scriverla, in genere la risposta sarà dell'1-2% (il che significa che il 98% dello sforzo fatto si butta e allora è un sistema cretino di fare pubblicità). Quando voi leggete il giornale e l'articolo si interrompe per la pubblicità delle scarpe e dovete andare a pag. 28 per finire di leggere vi dà noia, come quando vi interrompono mentre fate un lavoro. La pubblicità della quale si parla adesso è diversa, è fatta su Internet, ma su Internet la gente non passa, non la vede perciò bisogna andarceli a cercare uno per uno, quindi una pubblicità diretta, personalizzata in modo astuto (non in modo cretino, come quando a mia mamma di 95 anni mandarono una pubblicità di certi cosmetici di bellezza) e si chiama pubblicità virale perché chiunque la riceve, a parte che compri o no, si diverte tanto che prende e la ripete ad altri amici.
Ora provate a prendere un pezzo di pubblicità, di marketing e andate a vedere se trovate quali sono le regole per cui è tanto divertente, tanto attraente che solo per il fatto che l'ho sentita devo raccontarlo agli amici. D'altra parte si chiama pubblicità virale permissiva perché devo avere un permesso per inviarla alle persone e per ottenere questo permesso ricambio con altri piaceri: ad esempio facendole partecipare ad una lotteria, facendo uno sconto di qualche tipo, procurando loro qualcosa di divertente, facendo un servizio e naturalmente non divulgando a nessun'altro i loro dati. Perché è importante questa faccenda della pubblicità? Perché sono proprio i modi in cui si fanno succedere le cose, e a un certo punto fare pubblicità significa pianificare la diffusione di certi memi piuttosto che di certi altri (il che significa anche diffondere cultura, volendo, perché no?). Io sto cercando di farlo. Modestamente con alcuni amici abbiamo fatto un sito che si chiama www.educopolis.it dove ognuno di noi ha un edificio virtuale, raccontiamo delle cose culturali, quasi tutte gratuite. Alcune non sono gratuite per esempio la patente europea dei computer. Questa pure è una cosa utile, perché uno impara che cos'è un personal computer, come ci si scrive, come si fanno le presentazioni in PowerPoint (sistema che io non amo affatto), come si fanno i database, come si fanno i calcoli e come si lavora su Internet. Alcune di queste cose io personalmente non le so fare, e non le voglio imparare, ad esempio come costruire un database relazionale non mi interessa.
Il guaio della tecnologia è che non è integrata, per esempio, se salite su un'automobile diversa dalla vostra, per alzare i finestrini occorre girare la manovella nel senso orario invece che antiorario, ecc. Tra i rischi enormi della tecnologia ne cito solo un paio: uno dei rischi è quello delle icone. Ai tempi antichi chi voleva che succedesse qualche cosa usando un computer scriveva una stringa di lettere e numeri che descriveva esattamente quello che voleva succedesse. Qualcuno di voi avrà forse usato Unix, addirittura con questo linguaggio si possono definire operazioni o processi che nessuno aveva mai pensato: servono a te, te li costruisci e succede esattamente quel che vuoi che succeda. Adesso con questa faccenda di cliccare sulle icone è tutto più ambiguo, uno vede un mostriciattolo e non capisce cos'è, e se ci va sopra con il cursore si apre una finestrina che con 4 parole ti dice più o meno quello che farai in modo piuttosto vago, e spesso devi cliccare 40 volte per far succedere le cose che vuoi che succedano.
Questa è una scelta sbagliata che fecero anche i cinesi 3-4 mila anni fa quando hanno fatto gli ideogrammi invece del sistema alfabetico. Ai cinesi serviva perché hanno ottanta lingue e così le scrivevano tutte allo stesso modo, e anche i giapponesi usano gli stessi ideogrammi. Ma sapete come è fatto un dizionario cinese? È un disastro, normalmente ogni carattere è definito da 4 numeri di 1 cifra che sono il numero di tratti che convergono nei 4 lati del quadrato entro cui è iscritto il carattere. Questo è complicato, se uno scrive impero ("kuo"), quanti tratti sono? Boh! Attualmente i cinesi per scrivere con i PC usano la trascrizione fonetica dei singoli tratti, ma non possono trascriverli tutti e quindi succede che la stessa trascrizione può risalire a dodici ideogrammi diversi. Succede quindi che i cinesi non scrivono più a mano e se uno questi caratteri non se li scrive tutti i giorni se li scorda, perciò il rischio che il computer porti a non scrivere affatto e diventare illetterati è grave. Le icone fatte da questa sciocca Microsoft non sono meglio di quelle cinesi, anzi sono molto peggio, al posto dei tratti hanno dei pupazzetti strani.
Perciò questa tendenza verso l'uso delle icone è una tendenza barbara. Chi di voi è interessato a questo argomento mi scriva, su www.robertovacca.com ci sono tutti i miei indirizzi e vi mando il testo "Barbarie iconica" scritto da un mio amico, Valerio Franchina.
L'altra cosa rischiosa è il fatto che i computer sempre più tendono ad essere mezzi di comunicazione e non di elaborazione e quando io comunico e non elaboro vengo invitato spesso a far fare l'elaborazione ad altri , anche di un problema matematico. Se avete avuto esperienza di scrivere su Word dal 1998 in poi dove c'è il correttore sintattico avrete visto che schifezza che è in italiano, in inglese va un po' meglio ma non tanto, è una cosa veramente da bestie, sembra fatto da Hegel e McLuhan insieme...
Quando ho tentato di scrivere "Una delle regole per avere successo" il computer mi ha fermato dicendomi "successo" è un participio passato ci vuole l'ausiliare essere non avere; trac! Ho buttato via tutto. Esistono cose ovvie come questo caso e uno non ci casca. Ma se uno comincia a provare a delegare operazioni più complesse, ad esempio logico-matematiche, si deve fidare che il computer te le faccia giuste perché se le sbaglia non te ne accorgi. La matematica usata con i computer molto spesso ti da risultati plausibili e tutti completamente errati. Il computer fa calcoli meglio di noi per cosette semplici, molto semplici, ma se c'è un problema matematico un po' più complicato, ad esempio un sistema di equazioni lineari algebriche, con Excel non ci fai praticamente niente, con altri programmi un po' meglio, ma se hai un problema veramente significativo e tu non sai la matematica non puoi delegarla ad un computer.
Ricordo un cartoon con due barboni che stavano seduti su una panchina nel parco uno dice all'altro "Ah, sì, anch'io ero dirigente d'azienda, poi però ho cominciato a delegare..." perciò non c'è nessun surrogato, nessun sostituto per capire effettivamente come stanno le cose. Tutti quelli che pensano che la nuova tecnologia sia uno strumento utile che risolve i problemi da solo non hanno capito niente. Temo che l'informatica nelle scuole (mi pare che ci abbiano speso parecchi miliardi, forse mille, comunque hanno speso il 90% per hardware e il 10 % in software e hanno preso questo hardware che si sta degradando rapidamente perché si cerca sempre di introdurne di nuovo non compatibile con quello precedente) agli studenti sia servita ben poco se chi doveva instradarli non era stato instradato a sua volta.
Ho portato con me questo libro, La piazza universale di tutte le professioni del mondo di Tommaso Garzoni da Bagnacavallo (1549-1589) [Firenze, Olschki, 1996], che parla di professioni che non esistono più, e alcune sono molto divertenti: professore di memoria, professore dell'arte di Raimondo, professore di cazzafrusti (se non sapete cosa sono, i cazzafrusti sono certe speciali fionde che lanciano giavellotti), professore di osservazione e superstizione - questi ci sono ancora - mormoratori e fuoriusciti - anche questi ci sono ancora. Pensate per es. alla parola stenodattilografa, che ormai è priva di senso perché non esistono più. Io da ragazzo saldavo resistori e capacitori su circuiti stampati per fare radio. Perciò di mestieri che scompaiono ce ne sono tanti e di mestieri da inventare ce ne sono altrettanti. E ora l'invenzione credo che sia la cosa più importante che sappiamo fare. Chi imita, vive una vita altrui , solo chi inventa vive davvero e per inventare, in particolare per inventare mestieri nuovi, bisogna conoscere la tecnologia, un po' quella antica, ma soprattutto quella nuova, quella moderna e se poi questi mestieri nuovi oltre ad inventarli, vi mettete a farli sarete degli umanisti che si divertiranno come pazzi e faranno anche un sacco di soldi.
Domanda: Cosa ne pensa della scuola Steineriana? I bambini devono apprendere da subito ad usare il computer?
Vacca: Il mio primo figlio ha iniziato ad usare i computer a 15 anni, anche perché prima non c'erano. Il mio secondo figlio, che adesso ha 6 anni , usa i computer da 2 anni, gli insegnai a scrivere su tastiera e non a mano e ha imparato tutte le lettere, ma poi ha cominciato a dimenticarle probabilmente perché noi impariamo con la mano piuttosto che con la testa e visto che ora scrive a mano non riesce più a ricordarsi i tasti del computer. Su questo argomento ci ho scritto un raccontino, se andate sul mio sito ne potete trovare un assaggio gratuito.
Fiormonte: Allora ringrazio Roberto Vacca e lo invito a ritornare il prossimo anno, alla conclusione del prossimo corso, eventualmente con il titolo su "Perché Hegel e McLuhan sono delle bestie".
Vacca: Beh, possiamo farla anche subito, basta che ci portano due coltelli per un dibattito animato... Grazie e arrivederci a tutti.