Roberto Vacca
Intervista
In questa intervista inedita con Roberto Vacca realizzata nel 1994 da Domenico Fiormonte, Vacca, come già Francesca Sanvitale, Manuel Vázquez Montalbaán, ecc. parla del suo metodo di scrittura al computer. In questo stesso sito, vedi anche l'abstract di Word Processing and Literary Writing.
L'intervista è stata realizzata nella casa romana di Roberto Vacca nel giugno 1993. Il franco distacco del pluri-specializzato ingegnere, saggista e narratore nei confronti della propria produzione (nonché dei suoi metodi e procedure di scrittura), mi ha permesso di venire in possesso di una gran quantità di materiali. Ringrazio ancora il professor Vacca e rendo omaggio al suo atteggiamento dissacrante, da anti-vate, nei confronti di tutto ciò che noi, malati di letteratura, veneriamo e adoriamo.
F: Professor Vacca, lei, Claudio Pozzoli e Umberto Eco foste, agli albori degli anni Ottanta, fra i primissimi in Italia a decantare l'utilità e la piacevolezza del word processor. Ma quale fu il primo testo che scrisse con il computer?
V: Iniziai ad usare il pc al principio del 1983 e, probabilmente, la prima cosa che scrissi fu un articolo di giornale. L'ultimo libro che feci senza computer fu Come amministrare se stessi e presentarsi al mondo, mentre il mio primo libro scritto interamente con il computer è stato il romanzo Dio e il computer, nel 1984.
F: Che tipo di macchina scelse?
V: Un Olivetti M 20. Il sistema di videoscrittura, che ora si chiama Olitext, credo all'epoca fosse Olisoft.
F: Fra il Macintosh e l'IBM come mai optò il secondo?
V: L'Olivetti non utilizzava nemmeno un vero sistema DOS - si chiamava Picodos; certo era più vicino all'IBM che al McIntosh, però scelsi il primo perché allora era meno facile programmare con i McIntosh, e a me il pc non interessava solo per la scrittura, ma soprattutto per programmi di matematica e di disegno.
F: Lei ha detto e scritto più volte che la formula di Flesch ha cambiato il suo modo di scrivere. Il pc ha potenziato questo processo già in atto? E se l'ha potenziato, in che misura?
V: Direi in modo marginale. Il vantaggio del pc non riguarda la leggibilità. Anticamente io facevo quello che consiglia Kipling in Something of myself. Lui scriveva a mano - credo che abbia cominciato ad usare la macchina da scrivere molto tardi, o forse per nulla -, lasciava decantare il testo per un po' di tempo e poi cancellava, con un pennello intinto nell'inchiostro di china, le parole inutili o di troppo. Io ripetevo lo stessa operazione con un pennarello, e cioè stringevo il testo: e questo prima del pc. Quello che dà invece in più il computer è la facilità nelle correzioni, per cui si può essere più severi con i propri scritti. Scrivendo a macchina diventa una scocciatura persino sostituire una parola. Così, per pigrizia, per il tempo, per il fastidio di dover sporcare il foglio con correzioni manuali, si rinuncia ad un livello di perfezione superiore.
F: Una delle osservazioni che lei fa in Comunicare come riguarda il fatto che ora si scrive di getto, a tutta velocità e poi si comincia a correggere. Prima di usare il computer cosa succedeva?
V: Molto si è detto e scritto sul "delirio della pagina bianca" e sul suo effetto frenante: io invece ho sempre avuto la fissazione della "pagina pulita" (addirittura mi esercitavo a scrivere impaginando il mio testo). Perciò la prima stesura la scrivevo a mano, così potevo correggerla a volontà. Ancora adesso lo faccio, soprattutto se sto fuori casa, invece di usare il pc portatile. L'importante è avere le idee e la struttura della frase, allora basta un qualsiasi pezzo di carta, per scrivere così come capita e poi copiare con calma sul computer apportando tutte le modifiche necessarie.
F: Quindi secondo lei il pc non ha cambiato molto, a parte certi fenomeni esteriori...
V: Io continuo a credere che sia solo uno strumento.
F: Ci sono stati casi nella storia in cui il mezzo ha avuto una grande importanza, basti pensare alla diffusione della carta. Io vorrei sapere se nel suo stile è cambiato qualcosa con l'uso del pc, considerando in modo diverso la scrittura creativa e quella saggistica. Per quanto riguarda la scrittura creativa, ho fatto una specie di collazione tra le due versioni del racconto L'improvviso attacco dei Tartari. In tutti e due questi racconti lei elimina tutti gli avverbi in -mente - in alcune pagine lei ne taglia addirittura tre o quattro - e spezza sistematicamente tutte le frasi coordinate di 30 o più parole in due o più mini-frasi.
V: Questa è l'influenza di Flesch. Pubblicai la formula per la prima volta su Tuttolibri, nel 1978. L'ho iniziata ad usare - facendo i calcoli a mano - quattro anni prima del computer, e la considero essenziale anche per l'evoluzione della scrittura creativa. Bisogna tener presente che tutti questi testi sono stati stampati esattamente come li ho consegnati all'editore: all'epoca ero assolutamente refrattario ad ogni tipo di correzione (né esisteva editing all'interno delle case editrici). Quindi il bisogno di revisione dipende anche dal fatto che nessuno l'aveva mai fatta; diciamo la verità: questi racconti erano scritti molto male e quindi anche a distanza di trent'anni avevano un gran bisogno di essere rivisti.
F: Con l'avvento del computer gli indici, in conseguenza della produzione di testi sempre più divisi in paragrafi, sono mutati, aumentando la loro estensione e precisione. Anche nel suo caso è successo: Tecniche modeste [1978] e Come imparare più cose e vivere meglio [1981] hanno indici essenziali, con pochi titoli, mentre quelli dei testi degli anni metà Ottanta-Novanta sono molto più strutturati e lunghi. Gli indici insomma sarebbero una conseguenza del lavoro sulla video-porzione di testo, che porta a una maggiore granularità della scrittura e perciò a una più complessa organizzazione del paratesto.
V: È un problema al quale non ho mai pensato. Però mi sembra un' ipotesi plausibile. Vorrei fare invece una notazione sugli indici dei miei romanzi: come avrà visto in molti libri (non ricordo bene a partire da quale), la prima riga di ogni inizio capitolo dà il titolo al capitolo nell'indice; è un accorgimento usato da molti - io cominciai a farci caso con La donna della domenica di Fruttero e Lucentini. Un indice così composto può già conformare una storia a sé, per cui si comincia a cercare, ogni volta che si inizia a scrivere un nuovo capitolo, una frase ad hoc, che abbia un legame con quella successiva e sia una continuazione logica o vagamente significativa di quella precedente.
F: Alcuni scrittori dicono che quando si scrive a mano normalmente si scrive meno di getto, e per evitare la fatica fisica si cerca di scrivere il più correttamente possibile. Invece al computer, come abbiamo già detto, si scrive di getto per poi correggere successivamente: tanto ognuno sa che potrà correggere con facilità.
V: Ma io scrivo di getto sia a mano che con il computer, molto velocemente, quasi stenografando. A mano addirittura abbozzo la "forma" della parola, il cui significato ricavo poi dal contesto: non credo che esista un'altra persona al mondo a parte me che sappia interpretare quei segni. Scrivendo con il computer - lei stesso se ne sarà accorto in quegli articoli che le ho dato - si fanno errori di ortografia a ripetizione. Quest'estate dovevo scrivere una parte di un libro di matematica per le scuole medie e, siccome ero fuori in campagna, ho usato la macchina da scrivere. Mi sono accorto così che facevo molti meno errori di battitura, e sa perché? Per la tastiera. Fra i tasti della macchina da scrivere ci sono buoni 7-8 millimetri, fra quelli del computer al massimo due. Perciò durante l'estate m'inventai dei ditali con la punta più sottile per scrivere al computer: pensi all'utilità per chi batte sulle tastiere minuscole dei portatili.
F: Nel corso della mia ricerca ho constatato che la scrittura elettronica può tendere alla conservatività: chi scrive è portato naturalmente, forse a causa della suggestione formale del video, a reimpiegare la prima stesura di testo prodotta, che diventa una specie di gabbia fissa. Intorno, ma anche all'interno di questa gabbia si possono avere dei rivolgimenti lessicali, spostamenti di blocchi, ecc. ma mai vere e proprie rivoluzioni sintattiche, che alterino o addirittura cancellino la configurazione originale del periodo. Secondo lei, è vero che il computer porta a variare continuamente il testo, senza però distruggerlo mai completamente (al contrario di ciò che si nota nelle testimonianze manoscritte, dove, a un certo punto, la somma delle cancellature porta al rifacimento o almeno alla ricopiatura integrale)?
V: Non credo che esistano scrittori che distruggano completamente il testo. O perlomeno, io non distruggo mai completamente un testo, né manoscritto né scritto con il pc. Perché io parto con un idea già formata, già parzialmente (mentalmente) strutturata e dunque considererei una tale eventualità solo uno spreco di energie.
F: Però lei stesso in Comunicare come dice, implicitamente, che il fatto di avere maggior facilità nelle correzioni porta ad una influenza sullo stile [leggo ad alta voce i passi citati più avanti].
V: D'accordo, ma nel senso sempre della maggior severità che si ha verso se stessi: la revisione con il computer avviene in tempo reale e soprattutto a costo zero.
F: Nel suo saggio L'uomo come una macchina monosequenziale ragionando sulle teorie della monosequenzialità o multisequenzialità dell'attenzione umana, lei ha auspicato la rottura della catena gerarchica su cui è basato l'informazione lineare. Leggendo queste pagine il pensiero corre automaticamente agli ipertesti: non vede un possibile sviluppo della multisequenzialità negli hypermedia?
V: Sarebbero delle tecniche importantissime se la gente fosse addestrata ad usare i nuovi strumenti, ma ho forti dubbi che una società con problemi di cultura di base (e la cui soluzione è ovviamente prioritaria) possa trarre significativi vantaggi da queste tecnologie. Dove sono poi le persone colte in grado di realizzare dei prodotti validi? Molti degli ipertesti che ho visto fino ad oggi, sono inutili, perché progettati superficialmente (ad es. strutturando male la navigazione) o perché fatti basandosi su materiali poco originali o di scarsissimo interesse tematico.
F: Non vede sviluppi positivi nemmeno in campo didattico?
V: Fino a un certo punto. Io ho fatto l'università a Roma, senza laboratori, senza alte tecnologie, né grande assistenza didattica, studiando su dispense mal stampate: eppure la sostanza c'era. Poi con questi prodotti elettronici sorge un altro problema molto grave, che è quello della proliferazione eccessiva dei titoli, ovvero della ridondanza dell'informazione. Cosa scegliere e cosa scartare dei titoli disponibili - ad esempio - attraverso una rete come Internet? Se non si è addestrati non tanto a comunicare quanto a richiedere informazioni, si finisce intrappolati. Troppa informazione vuol dire nessuna informazione.
F: Un'ultima cosa. Mi potrebbe spiegare questo modello immaginario di videoscrittura, il word streamliner, che lei ha immaginato nel racconto Userfriendliest [Carezzate con terrore la testa dei vostri figli, Interno Giallo, Milano 1992, p. 231]?
V: L'idea era questa: mentre si sta scrivendo, invece di comporre le parole sulla tastiere, c'è un torrente di parole "possibili" che passano sul video. Il computer le genera, attraverso un programma di intelligenza artificiale, a partire da ciò che abbiamo scritto precedentemente, cioè interpretando le nostre intenzioni alla luce dei significati già espressi. A quel punto con il mouse o meglio ancora col touchscreen noi puntiamo le parole che ci scorrono davanti venendo istantaneamente inserite nel nostro testo. Pratico, no?